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Utilizzo e qualificazione dei residui di lavorazione dei materiali lapidei

Lo scopo di questo articolo è quello di ricostruire un quadro generale, descrittivo delle maggiori possibilità di utilizzo e della sostenibilità dei residui delle lavorazioni dei materiali lapidei e, in particolare, quelli originati da cave e dalle attività ad esse connesse.

La decisione circa la natura di rifiuto di una sostanza, presuppone una valutazione effettuata caso per caso, analisi che deve essere operata tenendo conto dell’obiettivo di agevolare, nei limiti del possibile, il riutilizzo dei materiali.

Per questo motivo, Progettoqualità, ha da sempre studiato la possibilità di applicare una classificazione giuridica al prodotto in grado di valorizzare il materiale, in un’ottica di sostenibilità .

I materiali di origine rocciosa che possono generare inerti hanno origini diverse tra loro, tuttavia possiamo individuare principalmente cinque luoghi di provenienza:

  1. CAVE E SITI DI ESTRAZIONE
  2. SCAVI
  3. CANTIERI EDILI
  4. CANTIERI STRADALI
  5. DRAGAGGI

Da ogni sito sono generati inerti di diversa natura a cui possono essere applicate discipline differenti, grazie anche al continuo sviluppo della normativa vigente.

Concentrando l’attenzione in particolare sui materiali provenienti dalle cave, dai siti di estrazione e dalle attività collegate (ad es. segherie), possiamo brevemente elencare i singoli prodotti  e la loro classificazione giuridica:

  • Tout venant di cava : si tratta di un’ampia categoria di materiali minerali di diversa natura, disponibili in varia granulometria, più o meno grezzi o raffinati. Essi possono essere impiegati per molteplici scopi, tra i quali principalmente quelli di fungere da componenti essenziali di materiali composti, in particolar modo dei conglomerati cementizi, di quelli bituminosi e di malte ed intonaci. Sono materiali utili e commercializzabili, costituiti da pezzame e pietrisco, scaglie bianche, scaglie scure e materiali litoidi.  Le scaglie bianche, derivate dai materiali da taglio, hanno un elevato valore in quanto utilizzate con volumi crescenti nell’industria e nella chimica. Mentre le scaglie scure (ed i restanti materiali) sono anch’essi commercializzati ma con modesto valore e con crescente difficoltà. Dal tout venant possono essere ricavate sia scaglie che terre, classificabili entrambe come sottoprodotto ai sensi dell’art 184-bis D.lgs. 152/2006. La classificazione come sottoprodotto è possibile in quanto, nonostante i materiali siano ricavati attraverso delle operazioni di vagliatura, quest’ultime sono considerati come normali pratiche industriali, rispettando quanto richiesto dalla Lett. C) art 184- bis T.U.A.
  • Blocchi: che possono essere per scogliere commercializzabili grazie alla marcatura CE UNI EN 13383 o per aggregati a cui possono essere applicate le norme: UNI EN 13242, UNI EN 12620, UNI EN  13043 e UNI EN 13285.
  • Manufatti: pronti per essere marcati CE e commercializzabili sul mercato che in sintesi possono essere: blocchi grezzi (UNI EN 1467), lastre grezze (UNI EN 1468),  pavimentazioni (UNI EN 1341, UNI EN 1342, UNI EN 1343 e UNI EN 12058)  rivestimenti (UNI EN 1469) marmette modulari (UNI EN 12057).
  • Residui fini derivanti da un processo di taglio a secco classificabile come sottoprodotto secondo le disposizioni definite dall’art 184- bis del D. lgs 152/2006.
  • Residui fini derivanti da un processo di taglio a umido classificabile sia come rifiuto ( CER 01.04.13), se destinati ad operazioni di recupero presso impianti autorizzati, che come sottoprodotto se applicabili le disposizioni imposte dell’articolo 184- bis del D.lgs. 152/2006.

La classificazione giuridica dei residui derivanti dal taglio a umido

Meritano un particolare approfondimento i residui fini derivanti dai processi di taglio a umido, da sempre considerati come materiali di difficile inquadramento giuridico.

Le fonti normative applicabili al caso in esame sono:

  • Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, norme in materia ambientale (c.d. codice dell’ambiente);
  • Dm Ambiente 13 ottobre 2016, n. 264, criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica delle biomasse “residuali” come sottoprodotti e non come rifiuti – Articolo 184-bis comma 2, Dlgs 152/2006;
  • Circolare Min. Ambiente 30 maggio 2017, n. 7619, Circolare esplicativa per l’applicazione del Dm 264/2016 recante i criteri indicativi per la qualifica delle biomasse “residuali” – Articolo 184-bis, comma 2, Dlgs 152/2006.

Fondamentale è  chiarire alcuni elementi in merito alla rispondenza ai requisiti di cui all’art. 184 bis del D. Lgs. 152/2006: l’articolo prevede che una sostanza od oggetto derivante da un processo di produzione il cui scopo primario non è la produzione di tale articolo, può non essere considerato rifiuto, bensì sottoprodotto  se sono soddisfatte (tutte, contemporaneamente) le seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto. Rispetteranno tale criterio  le imprese che dimostreranno di applicare al loro interno una corretta gestione del processo produttivo.

Il circuito chiuso è una caratteristica fondamentale e necessaria per la classificazione del materiale come sottoprodotto ai sensi del 184 bis del D.lgs. 152/2006 s.m.i e per la sua esclusione dalla disciplina dei rifiuti . Progettoqualità s.a.s., da sempre sostenitore del principio di valorizzazione  delle risorse e del recupero dei materiali, ha avuto modo di esaminare il percorso dell’acqua all’interno dei vari processi produttivi, al fine di verificare la possibilità di non contaminare con sostanze chimiche i residui della lavorazione dei materiali lapidei (soprattutto ove queste non  siano utilizzate direttamente nel processo produttivo) e di sottrarli così alla disciplina dei rifiuti, per classificarli come sottoprodotto.

Durante lo studio delle varie linee di processo è stata verificata la fattibilità di una progettazione più efficiente del ciclo produttivo e la possibilità, non solo di installare nuovi impianti, ma anche di modificare quelli già presenti, valutando le concrete esigenze della Ditta.

b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi. Si sottolinea che, in merito alla certezza di utilizzo, viene più volte evidenziata l’importanza della tracciabilità documentale, che potrà dimostrare chiaramente i passaggi in caso di controllo da parte degli Enti preposti. Per rispondere al requisito della certezza, sarà pertanto necessario compilare la documentazione di cui al DM 264/2016 (scheda tecnica e dichiarazione di conformità).

c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale. Sul materiale non dovranno essere effettuate operazioni ulteriori, fatta eccezione per quelle di controllo del materiale ed eventuale vagliatura per renderlo idoneo all’utilizzo.

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana. Anche sotto questo aspetto, uno studio accurato del processo produttivo e la progettazione di un impianto in grado di evitare, quando possibile, l’utilizzo di prodotti chimici (quali ad esempio i flocculanti) permetterà di ottenere un materiale finale idoneo e non impattante sull’ambiente o la salute umana.

In conclusione, sia la modifica dei vecchi impianti che la progettazione di nuovi possono portare all’impresa, non solo un notevole vantaggio economico ed una minore usurabilità dei macchinari, ma anche, come richiesto dagli Enti di controllo, un minore impatto ambientale per far fronte al fenomeno dell’impoverimento delle risorse

La marcatura CE dei residui di lavorazione

Fatte salve tutte le premesse dei paragrafi precedenti e constatata la fattibilità di una classificazione giuridica che punta alla valorizzazione come sottoprodotto dei “residui di lavorazione dei materiali lapidei”, si prospetta poi la necessità di ottenere la marcatura CE per il prodotto, in modo da poterlo rivedere come materiale da costruzione.

Ad esempio, sarà possibile ottenere la marcatura CE ai sensi dello standard UNI EN 13242 per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l’impiego in opere di ingegneria civile e nella costruzione di strade, in ottemperanza a quanto previsto dalle norme tecniche.

Certificare i residui di lavorazione dei materiali lapidei, classificati come sottoprodotto, significa valorizzare il prodotto, garantendo che le specifiche o le caratteristiche rispettano le disposizioni di una norma internazionale, permettendone, ad esempio, l’utilizzo in riempimenti ambientali o la commercializzazione.

I requisiti dei materiali da costruzione o ingegneria civile

La marcatura CE, quale risposta sia a quanto previsto dal Regolamento EU 305/2011 che dal D.lgs. 106/2016, non è l’unico requisito che il produttore di aggregati deve valutare.

Un altro importante aspetto da considerare solo tutte quelle caratteristiche necessarie affinché il materiale prodotto risponda ai requisiti geotecnici.

Le richieste nei capitolati, specialmente per i lavori di una certa rilevanza e soprattutto in caso di opere strutturali, riportano indicazioni specifiche sulle caratteristiche (diverse dalle norme standardizzate) che devono avere gli aggregati da utilizzare.

I materiali devono rispondere a test che definiscono: la loro identificazione (granulometria, limiti di Atterberg, peso specifico dei grani), le caratteristiche fisiche (porosità, contenuto d’acqua, peso unità di volume), le proprietà idrauliche (permeabilità) e le proprietà meccaniche (compressibilità, resistenza, deformabilità).

La fornitura di materiale, diverso da quello riportato sul capitolato, non solo espone la ditta a reclami da parte del cliente e/o pagamenti insoluti, ma rischia anche di diventare fonte di responsabilità (civile e penale) e di sanzioni facilmente evitabili.

Ed inoltre, produrre materiali che non corrispondono ai requisiti necessari per lo specifico impiego ne impedisce la vendita,  con conseguente giacenza degli stessi presso i piazzali di stoccaggio ed un aggravio dei costi per la gestione e per gli spazi occupati.

È facile comprendere come la materia comporti uno studio approfondito e consapevole del prodotto, in modo da poter evitare a priori le conseguenze negative derivanti da una errata gestione della classificazione del materiale.

Lo studio Progettoqualità si propone come consulente per tutte quelle attività che vogliono, non solo lavorare a riparo da effetti negativi di una cattiva gestione, ma anche e soprattutto implementare la loro crescita aziendale, puntando alle forniture di materiali controllati e garantiti per le opere di costruzione di un certo livello.

La consulenza, in particolare, avrà ad oggetto la trasmissione delle informazioni necessarie affinché l’Azienda sia in grado di selezionare le materie prime in ingresso (sia rifiuti che sottoprodotti) per poter produrre materiali che rispondono alle caratteristiche fisiche e geotecniche necessarie.

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